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Studiando la Bibbia


LA GIOVENCA ROSSA

di C. H. MACKINTOSH






Una riflessione sul Capitolo 19 del libro dei Numeri



C. H. Mackintosh giovane

Charles Henry Mackintosh (1820-1896) fu un predicatore irlandese, espositore della Bibbia, e autore.
Operò durante il Risveglio irlandese del 1859-1860.
Per una quarantina d'anni pubblicò la rivista mensile
“Cose Nuove e Vecchie”.
Il suo primo trattato fu
"La pace di Dio" nel 1843, e il suo ultimo libro, scritto poco prima della sua morte, avvenuta nel 1896, fu "L'Iddio della pace".





PARTE PRIMA

1. La giovenca rossa: tipo di Cristo

2. Gesù: vittima e sacerdote

3. Fuori dal campo




1. La giovenca rossa: tipo di Cristo

La giovenca rossa è un tipo che appartiene eminentemente al deserto. Essa era la risorsa di Dio contro le contaminazioni del cammino.

Tipifica la morte di Cristo come purificazione dei peccati e come risposta a tutti i nostri bisogni durante il pellegrinaggio attraverso un mondo corrotto, per giungere alla nostra patria celeste.

È dunque una figura molto istruttiva e che ci svela una verità molto preziosa. Voglia lo Spirito Santo, che ce ne ha dato conoscenza, spiegarla e applicarla alle nostre anime.

«Il Signore disse ancora a Mosè e ad Aaronne: Ecco quanto prescrive la legge ordinata dal SIGNORE che disse: Di’ ai figli d’Israele che portino una giovenco rossa, senza macchia, senza difetti, e che non abbia mai portato il giogo» (Num. 19:1-2).

Se contempliamo il Signore Gesù con l’occhio della fede, non vediamo in Lui soltanto Colui che era senza macchia nella Sua santa Persona, ma pure Colui che non portò mai il giogo del peccato.

Lo Spirito Santo è sempre un guardiano geloso della gloria di Cristo e trova il Suo piacere a presentarLo all’anima in tutta la Sua eccellenza ed il Suo valore supremo.
Ecco perché ogni tipo ed ogni immagine destinati a presentarLo testimoniano sempre anche di questa estrema sollecitudine.

Per mezzo della giovenca rossa, sappiamo che il nostro Salvatore benedetto non era soltanto, quanto alla Sua natura umana, intrinsecamente puro e senza macchia, ma che, quanto alla Sua nascita e alle Sue relazioni di famiglia, si era anche mantenuto perfettamente netto da ogni traccia e da ogni apparenza di peccato.

Mai il giogo dell’iniquità gravò sul Suo collo.
Quando parlava del
«suo giogo» (Matteo 11: 29), era il giogo d’una sottomissione implicita alla volontà del Padre in ogni cosa.
Fu il solo giogo che portò e che non lasciò mai un solo istante, dalla mangiatoia dove, debole e piccolo fanciullo, riposava, fino alla croce ove spirò come vittima.

Se salì sulla croce per espiare i nostri peccati e porre il fondamento della nostra perfetta purificazione da ogni peccato, lo fece come Colui che non aveva mai, in nessun momento della Sua vita santa, portato il giogo del peccato.

Egli era
«senza peccato» e come tale era perfettamente atto a fare la grande e gloriosa opera dell’espiazione.

«Senza difetti, e che non abbia mai portato il giogo».
Queste due espressioni sono adoperate dallo Spirito Santo nel testo ebraico per mostrare la perfezione del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo che era non soltanto senza macchia interiormente, ma esteriormente libero da ogni traccia di peccato.

Né nella Sua Persona, e neanche nelle Sue relazioni, fu in qualsiasi modo soggetto alle esigenze del peccato o della morte.
Entrò realmente in tutte le nostre circostanze e nella nostra condizione; ma non vi fu in Lui peccato; e il giogo non gravò affatto sopra di Lui.

 

2. Gesù: vittima e sacerdote

«E la darete al sacerdote Eleazar, che la condurrà fuori del campo e la farà scannare in sua presenza» (Num. 19:3).

Noi abbiamo nel sacerdote e nella vittima un doppio tipo della Persona di Cristo. Egli era ad un tempo vittima e sacerdote.

Tuttavia non entrò nelle Sue funzioni sacerdotali prima che la Sua opera, come vittima, fosse compiuta.

Ce lo spiegherà l’espressione della fine del verso 3:
«la farà scannare in sua presenza».

La morte di Cristo fu compiuta sulla terra; non poteva perciò essere presentata come l’atto del sacerdozio, poiché il cielo, non la terra, è la sfera del Suo servizio di Sacerdote.

L’apostolo, nell’epistola agli Ebrei, dichiara espressamente che «abbiamo un Sommo Sacerdote tale che si è seduto alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore, e non un uomo ha eretto. Infatti, ogni sommo sacerdote è costituito per offrire doni e sacrifici; è perciò necessario che anche questo Sommo Sacerdote abbia qualcosa da offrire. Or, se fosse sulla terra, Egli non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono coloro che offrono i doni secondo la legge» (Ebrei 8:1-4).

«Ma venuto Cristo, Sommo Sacerdote dei beni futuri, Egli, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto con mano d’uomo, cioè, non di questa creazione, è entrato una volta per sempre nel Luogo Santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistata una redenzione eterna» (Ebrei 9:11-12).

«Infatti Cristo non è entrato in un Luogo Santissimo fatto di mano d’uomo, figura del vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora, alla presenza di Dio, per noi» (Ebrei 9:24).

«Egli, dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sempre, si è seduto alla destra di Dio» (Ebrei 10:12).

Questi passi avvicinati a Numeri 19:3, ci insegnano due cose:

- che la morte di Cristo non è presentata come l’atto particolare e ordinario del suo ministerio sacerdotale, e, inoltre,

- che
il cielo, non la terra, è la sfera di questo ministerio.

Non c’è nulla di nuovo in queste asserzioni; altri le hanno presentate a più riprese, ma è importante notare tutto ciò che tende a dimostrare la perfezione e la precisione divina delle Sante Scritture.

Non è forse profondamente interessante trovare una verità che brilla con vivo splendore nelle pagine del Nuovo Testamento, implicata in qualche ordinamento o cerimonia dell’Antico Patto?

Tali scoperte sono sempre benvenute per un discepolo della Parola.

La verità, senza dubbio, è la stessa ovunque la si trovi; ma allorché, pur offrendosi a noi, con uno splendore supremo, nel Nuovo Testamento, essa ci appare divinamente prefigurata nell’Antico, allora, oltre che essere così confermata la verità, l’unità del Libro intero ci è dimostrata e provata.


Notiamo ancora
dove avveniva la morte della vittima. «E il sacerdote la condurrà fuori del campo» (Numeri 19:3).

 

3. Fuori dal campo

Non solo il sacerdote e la vittima sono identificati e formano un solo tipo di Cristo, ma è aggiunto «e la farà scannare in sua presenza» perché la morte di Cristo non poteva essere rappresentata come un atto del sacerdozio.

Questa meravigliosa esattezza non può trovarsi che in un libro di cui ogni linea proviene da Dio stesso.

Se fosse stato scritto:
«Egli la scannerà» il cap. 19 dei Numeri si sarebbe trovato in disaccordo con l’epistola agli Ebrei; mentre qui si rivela gloriosamente l’armonia del volume.

Ci sia data la grazia di discernerla e di goderne!

In realtà, Gesù ha sofferto fuori della porta
«Perciò anche Gesù, per santificare il popolo col proprio sangue, soffrì fuori della porta» (Ebrei 13:12).

Egli prese una posizione di separazione assoluta, e da essa la sua voce s’indirizza ai nostri cuori.

Non dovremmo noi considerare più seriamente il posto ove Gesù morì? Potremmo noi accontentarci di raccogliere i benefizi della sua morte, senza cercare di aver comunione con Lui nel suo rigettamento? Così non sia!

«Usciamo quindi fuori dall’accampamento e andiamo a Lui portando il Suo obbrobrio» (Ebrei 13:13).

«L’accampamento» ha una notevole applicazione morale ad ogni sistema di religione stabilito dall’uomo e governato dallo spirito e dai princìpi del presente secolo malvagio.

Vi è in queste parole un’immensa potenza!
Esse dovrebbero eccitare tutto il nostro essere morale e spirituale a ricercare un’identificazione più completa col nostro Salvatore rigettato.

Mentre lo vediamo morire fuori della porta vorremmo noi raccogliere i benefici della sua morte restando nel campo, senza portare il Suo obbrobrio?

Cercheremmo forse una dimora, un posto, un nome, una posizione in questo mondo dal quale il nostro Signore e Maestro è stato rigettato?

Desidereremmo prosperare in un mondo che, ancora oggi, non tollererebbe questo Diletto al quale dobbiamo la nostra felicità presente ed eterna?

Aspireremmo forse agli onori, alla posizione, alla ricchezza, quaggiù dove il nostro Maestro non ha trovato che una mangiatoia, una croce, una tomba imprestata?

Che il linguaggio dei nostri cuori sia: «Lungi da noi questo pensiero!» e possa il linguaggio della nostra vita essere: «Lungi da noi una tale cosa!».

Che per la grazia di Dio possiamo dare una risposta più completa a questo appello dello Spirito: «Uscite».

Lettore cristiano, non dimentichiamo mai che nel considerare la morte di Cristo, noi vediamo due cose:

la morte d’una vittima, e

la morte d’un martire.

Una vittima per il peccato, un martire (testimonio) per la giustizia, cioè, una vittima sotto la mano dell’uomo.

Egli soffrì per il peccato affinché noi non soffrissimo mai. Il Suo Nome sia per sempre benedetto!

Ma le Sue sofferenze come martire, le sue sofferenze per la giustizia sotto la mano dell’uomo, quelle noi possiamo condividerle.
«Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in Lui ma anche di soffrire per Lui» (Fil. cap. 1:29).

È un dono positivo di soffrire per Cristo. Lo stimiamo noi come tale?